Intercettazioni sì a virus su pc, tablet e smartphone a casa
- avvocatocapizzano
- 4 lug 2016
- Tempo di lettura: 4 min
Sono legittime le intercettazioni di conversazioni realizzate dalla polizia giudiziaria, nella privata dimora dell’indagato, attraverso virus di tipo trojan che si autoinstallano su tablet, smartphone o computer ed in grado di attivare i microfoni e le telecamere di tali dispositivi; ma ad una sola condizione: che si tratti di mafiosi e altri reati legati alla criminalità organizzata.
In tutti gli altri casi, l’intercettazione attraverso dispositivi mobili non può avvenire e questo perché il provvedimento di autorizzazione del PM all’installazione dei captatori elettronici deve indicare con precisione i luoghi entro cui avviene l’intercettazione stessa. È quanto chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione [1] che, sul punto, mettono finalmente la parola “fine”: la questione, infatti, era stata oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza.
L’avvento delle nuove tecnologie informatiche e di comunicazioni ha aperto un profondo dibattito in giurisprudenza sulla legittimità dell’uso di “virus” all’interno di dispositivi mobili (cosiddetti captatori informatici). Il problema di fondo è che le intercettazioni ambientali non possono avvenire ovunque, ma c’è bisogno che un provvedimento del pubblico ministero ne circoscriva l’ambito geografico entro cui esse possono essere espletate; il che, come è facile intuire, non è possibile quando il virus viene autoinstallato su un cellulare o su un tablet, proprio per la loro natura mobile (leggi “Tablet intercettati con un trojan”). Il decreto del giudice – si è detto – deve fare necessariamente riferimento a luoghi ben individuati e circoscritti, non essendo ammessi generici riferimenti a luoghi in ogni occasione frequentati dall’indagato.
Con una informazione provvisoria dello scorso 29 aprile, le Sezioni Unite avevano già fornito un’anteprima sulla soluzione al problema, sdoganando l’uso dei captatori elettronici solo per i reati di criminalità organizzata, anche terroristica, nonché quelli legati ad associazione per delinquere e, quindi, di stampo mafioso [2] (leggi “Intercettazioni: sì al trojan anche nella privata dimora”). Oggi vengono finalmente depositate le motivazioni della sentenza, motivazioni che, comunque, erano già facilmente intuibili.
Meno vincoli dunque alle intercettazioni sulla criminalità organizzata [3]. Che possono avvenire anche attraverso ”captatori informatici” (virus con i quali infettare tablet, smartphone, computer) e nelle dimore private. Senza che il decreto di autorizzazione riporti il dettaglio dei luoghi nei quali le operazioni di ascolto possono essere effettuate. È legittimo l’ascolto delle conversazioni consentito dal virus autoinstallante su pc, tablet e smartphone nell’ambito dei procedimenti per delitti di criminalità organizzata anche nei luoghi di privata dimora, che pure non vengono individuati singolarmente e anche se lì non si sta svolgendo un’attività delittuosa. E ciò perché la registrazione ad opera del “cavallo di Troia” si risolve in definitiva in una tradizionale intercettazione ambientale: risulta assimilabile a una microspia, tranne che per le modalità di installazione, che per le cimici sono molto più complicate, mentre al trojan basta un sms, una mail o un’applicazione di aggiornamento per diventare operativo.
La dimora diventa quindi luogo ove è possibile, per gli inquirenti, origliare le conversazioni dei presenti mediante i captatori elettronici, virus in grado di attivare microfoni, telecamere ed altri strumenti. E ciò anche se i luoghi sensibili non sono singolarmente individuabili e in quel momento non si sta svolgendo l’attività criminosa sul posto.
Virus autoinstallante e microspie
La differenza sostanziale tra virus autoinstallante e microspie sta nel fatto che queste ultime sono materiali e, quindi, facilmente individuabili dai criminali (esistono dei “radar” che rivelerebbero la presenza di spie elettroniche). Al contrario i virus non sono fisici e tutt’altro che individuabili. Il loro impiego, dunque, offre maggiori garanzie per gli inquirenti quando devono effettuare le indagini nei delitti di criminalità organizzata: in questi casi, dunque, qualora si debba procedere alle intercettazioni fra presenti in luoghi di privata dimora, non serve l’autorizzazione del giudice che indichi i luoghi dove si svolgono gli ascolti, anche se non sono sede di attività criminose.
Nel caso delle intercettazioni con il virus informatico autoinstallante, invero, non conta la situazione ambientale in cui la registrazione avviene perché è la modalità tecnica con cui essa avviene a rendere irrilevante il fatto che si tratti o meno di un luogo di privata dimora: si tratta infatti di un’intercettazione che risulta per sua natura itinerante.
In questa sentenza vi è la volontà di dare un forte risposta alla minaccia rappresentata dal terrorismo (anche di stampo internazionale) e dalla criminalità organizzata, che dispongono di tecnologie sofisticate, oltre che di notevoli risorse finanziarie. L’installazione del captatore informatico sul dispositivo elettronico “itinerante” con provvedimento motivato può dunque essere considerato una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni in un luogo di privata dimora.
Sul punto, le Sezioni unite mettono in evidenza come in questo modo sia stato effettuato un bilanciamento di interessi che prevede una limitazione più profonda della segretezza delle comunicazioni e della tutela del domicilio, tenuto conto della pericolosità e gravità per la collettività di questa categoria di reati. E allora, venuta meno la limitazione per i luoghi di privata dimora prevista dal Codice di procedura, l’installazione del captatore informatico in un dispositivo itinerante, con un provvedimento di autorizzazione motivato e nel rispetto delle disposizioni generali in materia di intercettazioni, «costituisce una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni al pari della collocazione di microspie all’interno di un luogo di privata dimora».
Anche secondo la Corte dei diritti dell’Uomo è sufficiente identificare il destinatario delle intercettazioni senza che siano indicati i posti dove vengono realizzati gli ascolti. Quest’ultima ha spiegato come non sia necessario che il provvedimento di autorizzazione alle intercettazioni indichi i luoghi di svolgimento degli ascolti.
Se poi, come detto, la differenza quanto a requisiti e tipologia di intercettazioni, sta nella categoria dei reati per i quali si procede, allora le Sezioni Unite individuano con certezza i delitti di criminalità organizzata. La sentenza sposa un concetto assai esteso comprendendo nei reati di criminalità organizzata non solo quelli di criminalità mafiosa e quelli associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma qualsiasi tipo di associazione per delinquere [4], collegata alle attività criminali più diverse. Con la sola esclusione del concorso di persone nel reato, nel quale a mancare è proprio il requisito dell’organizzazione.
[1] Cass. sent. n. 26889/16 del 1.07.2016.
[2] Delitti comunque facenti capo a un’associazione per delinquere ex articolo 416 Cp, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.
[3] I giudici poi accolgono una nozione di criminalità organizzata ampia, non circoscritta ai reati elencati nell’articolo 51 commi 3 bis e 3 quater del Codice di procedura penale. Sono questi i due fondamentali principi di diritto fissati dalle 34 pagine della sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione n. 26889 depositata ieri.
[4] Determinata sulla base dell’articolo 416 cod. pen.
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