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Diffamazione su Facebook: ultime sentenze

  • Immagine del redattore: avvocatocapizzano
    avvocatocapizzano
  • 16 lug 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

Ecco di seguito una rassegna di sentenze che trattano uno degli argomenti più ricercati insieme alla parola “FacebooK”: diffamazione. La diffamazione, anche se commessa su internet e, in particolare, sui social network come Facebook non cambia gli elementi che l’hanno da sempre caratterizzata: si tratta infatti di un reato che si consuma quando l’offesa è pronunciata in assenza della vittima (diversamente, si avrebbe l’ingiuria che, invece, non è più reato, ma solo illecito civile).

Per quanto riguarda le regole sulle prove e sulla competenza territoriale del giudice rinviamo all’articolo “Diffamazione su Facebook: competenza e prove”.

Scrivere sulla bacheca Facebook di un utente un post offensivo integra il reato di diffamazione aggravata previsto dall’articolo 595, comma 3°, del Cp, cioè come se l’offesa fosse portata dalle pagine di un giornale. E in tal caso la competenza spetta al tribunale e non al giudice di pace. Lo ha deciso la Cassazione risolvendo un conflitto negativo di competenza. Per la Corte il fondamento dell’applicabilità dell’aggravante “giornalistica” ai casi di cosiddetta responsabilità da social network sta «nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone». Il meccanismo delle amicizie a catena di Facebook ha, per i giudici, la capacità di raggiungere un numero potenziale di persone e, dunque, di amplificare l’offesa.

Cass. sent. n. 24431/2015 dell’8.06.2015

I presupposti del reato ex art. 595 c.p. sono costituiti dalla comunicazione di un’espressione offensiva dell’altrui reputazione, dall’assenza dell’offeso e dalla presenza di più persone. Orbene, si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito, come accaduto nella fattispecie, in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti. Altresì, in ordine al caso concreto, ove l’imputato aveva scritto un messaggio sulla pagina facebook della vittima offensivo dell’onore e del decoro di quest’ultima, il reato ascritto al medesimo poteva essere qualificato come delitto di diffamazioneaggravato dall’avere arrecato l’offesa con un mezzo di pubblicità; fattispecie considerata al comma terzo dell’art. 595 c.p. ed equiparata, sotto il profilo sanzionatorio, alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa. Sul punto, si precisava che, per volontà del legislatore, la diffamazione su internet rientra nella previsione del comma terzo dell’art. 595 c.p. atteso che un sito web, un blog, un forum, un social network e quindi anche facebook, sono considerati “mezzi di pubblicità”, in quanto consentono la diffusione di testi, immagini e video ad una moltitudine di soggetti. In merito all’elemento soggettivo, era fuori di dubbio che il fatto era stato commesso con dolo, considerato che non è necessario l’animus diffamandi, inteso come fine di ledere la reputazione di un’altra persona, perché l’art. 595 c.p., al pari dell’art. 594 c.p., non esige un dolo specifico. Di talché, in applicazione del concetto generale di dolo, per la sua sussistenza basta che il colpevole abbia voluto l’azione, ovvero la comunicazione dell’addebito offensivo a più persone ed al tempo stesso si sia almeno reso conto del discredito che col suo operato ha cagionato o poteva cagionare (trattandosi di reato di pericolo) all’altrui reputazione. È, dunque, sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti con la consapevolezza della loro attitudine a ledere l’altrui reputazione. Si è poi sottolineato come fosse pacifica la riconducibilità dell’episodio all’imputato, atteso che si era accertato che il messaggio proveniva dal profilo facebook dell’imputato, soggetto facente parte del gruppo di persone con le quali la persona offesa aveva stretto amicizia su facebook.

Trib. Ivrea, sent. n. 139/2015 del 13.04.2015

Non integra il delitto di diffamazione l’omesso controllo, da parte dell’amministratore di un gruppo di discussione aperto su una piattaforma telematica, sui messaggi, di carattere diffamatorio, postati sulla bacheca del gruppo da taluni membri. L’amministratore del gruppo, invero, può rispondere di diffamazione solo allorché ricorra, sotto il profilo soggettivo, una responsabilità concorsuale, commissiva ovvero omissiva, di tipo morale, la cui prova deve essere rigorosamente fornita dall’ufficio di Procura. Difatti, in sede penale non è possibile ritenere che le offese degli utenti debbano darsi per condivise dal dominus del gruppo solo in quanto da questi approvate, in modo specifico (nel caso in cui abbia predisposto un sistema di filtri) ovvero in modo generico ed incondizionato (nel caso in cui non l’abbia predisposto). Nel caso concreto, peraltro, la insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato può trarsi dall’avvenuta cancellazione, in termini relativamente celeri (circa 3 giorni), dei post diffamatori da parte degli amministratori del gruppo e dall’avvenuta contestuale pubblicazione di un post con il quale spiegavano le ragioni dell’intervento e, in sostanza, si dissociavano dalle affermazioni diffamatorie rese dai membri.

Trib. Vallo della Lucania, sent. del 24.02.2016.

I reati di ingiurie e diffamazione possono essere commessi a mezzo di internet, tale ipotesi integra l’ipotesi aggravata di cui al terzo comma della norma incriminatrice.

Cass. sent. n. 24431/2015

In tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico. (In motivazione la Corte ha precisato che, in tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa).

Cass. sent. n. 31022/2015

Il carattere pubblico delle offese arrecate: offese certamente riconducibili in modo immediato e diretto (al convenuto), non solo per la riferita forzata condivisione con i comuni “amici Facebook” delle abitudini di vita dell’attrice e dei suoi asseriti comportamenti vessatori (…), ma anche più semplicemente per la evidente circostanza che il messaggio ingiurioso è immediatamente successivo a quello inviato dalla stessa (attrice) a commento della foto pubblicata dal comune “amico Facebook” G. F. (il quale, poi, a detta dello stesso convenuto ebbe a “cancellare” il messaggio de quo).

Trib. Monza, sent. n. 770/2010 del 2.03.2010

Nel caso di reato di diffamazione commesso a mezzo internet, è ammissibile la citazione quale responsabile civile della società che, in qualità di provider, ha ospitato sul proprio server un sito web contenente dati personali della persona offesa, senza previa autorizzazione della stessa, potendosi configurare astrattamente, nel caso di condanna dell’imputato, una responsabilità civile a carico della predetta società per il risarcimento dei danni cagionati per i fatti addebitati all’imputato, a norma dell’art. 15 “Codice della privacy” in relazione all’art. 2050 c.c.

Trib. Milano sent. del 10.07.2006

Affinché il “provider”, che si limiti ad ospitare sui propri “server” i contenuti di un sito Internet predisposto dal cliente, possa rispondere per le attività illecite poste in essere da quest’ultimo, non è possibile ravvisare un’ipotesi di colpa presunta, ma è necessario che sussista la colpa in concreto, ravvisabile, ad esempio, laddove venuto a conoscenza del contenuto diffamatorio di alcune pagine “web”, non si attivi immediatamente per farne cessare la diffusione in rete.

Trib. Napoli, sent. del 4.09.2002

In caso di diffamazione consumata mediante i contenuti di un sito Internet, sussiste la responsabilità concorrente del “provider”, ancorché quest’ultimo si sia limitato semplicemente ad ospitare sui propri “server” il contenuto delle pagine “web” predisposti dal cliente, ai sensi dell’art. 18 l. n. 675 del 1996, che estende la regola di cui all’art. 2050 c.c. a colui che tratta dati personali.

Cass. sent. n. 6591/2002

Quando si verifica la lesione di un diritto inviolabile della persona umana, costituzionalmente garantito ex art. 2 cost., come nel caso di espressioni offensive della reputazione della persona in quanto tale (e non quindi della reputazione professionale) contenute in un sito Internet, il danno risarcibile ex art. 2043 c.c. si identifica con l’evento lesivo (c.d. danno-evento). In tal caso l’illecito, e quindi il danno, si verifica, in astratto, allorché il sito contenente la comunicazione lesiva viene “visitato”.

Cass. sent. n. 6591 del 8.05.2002

In caso di obbligazione risarcitoria ex art. 2043 e 2059 c.c., conseguenti a diffamazione posta in essere via Internet tramite l’inserimento di un messaggio all’interno di un “newsgroup”, il foro competente ai sensi dell’art. 20 c.p.c. è quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, in quanto, essendo la sede principale dei propri affari ed interessi, è questo il luogo in cui le conseguenze negative dell’illecito diffamatorio si producono in misura più rilevante.

Cass. sent. n. 6591 del 8.05.2002

In tema di risarcimento del danno extracontrattuale, patrimoniale e morale, per lesione del diritto alla reputazione di una persona giuridica, compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica (Internet), attraverso un “newsgroup”, di frasi offensive, il “forum commissi delicti”, ai fini della individuazione del giudice territorialmente competente a decidere la causa a norma dell’art. 20 c.p.c., va individuato nel luogo di verificazione dei lamentati danni in conseguenza dell’evento diffamatorio, e quindi coincide con il luogo in cui il soggetto offeso ha il proprio domicilio, atteso che, essendo il domicilio la sede principale degli affari e degli interessi, esso rappresenta il luogo in cui si realizzano le ricadute negative dell’offesa alla reputazione.

Cass. sent. n. 6591 del 8.05.2002

Nel caso di diffamazione compiuta in Internet, mediante la partecipazione ad un “newsgroup”, il “forum commissi delicti” è quello del luogo dove si trova il “server” sul quale sono caricate le pagine contenenti le dichiarazioni diffamanti, salvo che manchino prove certe riguardo all’ubicazione del “server”, nel qual caso la competenza va radicata presso il foro del luogo di residenza del danneggiante.

Trib. Lecce, sent. del 24.02.2001


 
 
 

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