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Infedeltà coniugale: anche su internet c’è addebito

  • Immagine del redattore: avvocatocapizzano
    avvocatocapizzano
  • 16 lug 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

Tradire su internet è come tradire fisicamente: è infatti consideratainfedeltà coniugale la relazione intrattenuta dal marito o dalla moglie su chat o su Facebook, con un’altra persona, con la quale sia chiaro il desiderio fisico e/o l’innamoramento. Così, anche in questi casi, per il coniuge traditore scatta l’addebito salvo che questi riesca a dimostrare che il rapporto matrimoniale era già in crisi. A dirlo è la Cassazione con una sentenza di questa mattina [1].

La relazione platonica su internet

Più volte la giurisprudenza si è pronunciata sulla possibilità di dichiarare la responsabilità per il fallimento del matrimonio (cosiddettoaddebito) nei confronti del coniuge che intrattenga una relazione platonica su internet. E tutte le volte in cui il rapporto telematico travalichi la semplice “amicizia virtuale”, sconfinando nel desiderio carnale o, comunque, in un legame sentimentale, non vi sono dubbi: per i giudici questo basta per essere dichiarati colpevoli della violazione dell’obbligo di fedeltà.

Ma chi intrattiene flirt virtuali può contare sulla “non punibilità” della sua azione se riesce a dimostrare che la vera causa della rottura del matrimonio non è stata la sua relazione su internet, ma essa va ricercata in situazioni pregresse, che già avevano sgretolato l’unità familiare. Insomma, basta la prova che la vita di coppia fosse già compromessa per non subire l’addebito.

In poche parole per gli Ermellini solo un rapporto tanto forte da ledere l’unione matrimoniale può essere causa di addebito.

Non è infatti sufficiente, scrive a chiare lettere la Suprema corte, la sola violazione del dovere di fedeltà, ma occorre verificare se tale violazione sia stata la vera causa della crisi coniugale oppure se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza.

La prova della relazione via internet

La sentenza della Cassazione si “sposa” benissimo con quella, anch’essa recente, emessa dal Tribunale di Roma secondo la quale si possono utilizzare come prove dell’altrui tradimento anche i messaggini e le chat segrete, carpite di nascosto dal telefono del coniuge: non conta che ciò sia avvenuto in violazione della privacy.

[1] Cass. sent. n. 14414 del 14.07.16.


 
 
 

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