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Se il papà del figlio scappa e non vuole riconoscerlo

  • Immagine del redattore: avvocatocapizzano
    avvocatocapizzano
  • 25 lug 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Inutile far finta di niente e girare la testa dall’altro lato: l’uomo checoncepisce un bambino da una donna non può fuggire ai propri obblighi connessi alla paternità e sgattaiolare altrove: ai doveri digenitore non ci si può sottrarre mai, anche se inizialmente c’è il consenso della compagna. Il padre è così obbligato a riconoscere il figlio e a pagare le spese per il suo mantenimento alla donna presso la quale il bimbo vive. Diversamente, le conseguenze per lui possono essere gravi e svariate:

  • innanzitutto la madre può avviare un’azione contro l’ex compagno per il riconoscimento della paternità. L’azione è volta a rendere pubblico e certo il rapporto di filiazione tra l’uomo e il bambino: insomma a far dichiarare che il bambino è figlio di quello specifico uomo. La stessa azione, se non posta in essere dalla donna, la può attivare il figlio una volta raggiunta la maggiore età;

  • la madre può chiedere all’uomo, anche dopo svariato tempo, larestituzione del 50% delle somme spese per mantenere il figlio.Si tratta di una sorta di azione per il risarcimento del danno, per essersi la madre presa cura del minore e averlo alimentato e cresciuto con le proprie forze, ben dovendo invece anche il papà contribuire in rapporto al proprio reddito;

  • il figlio, raggiunta la maggiore età, può agire contro l’uomo per ilrisarcimento del danno morale procuratogli dall’assenza della figura paterna e, quindi, dal venir meno dell’affetto di uno dei due genitori, cui si ha sempre diritto sia per natura che per Costituzione (la nostra legge tutela infatti il diritto alla bigenitorialità).

Sono questi i principi affermati ormai da tempo dalla giurisprudenza e racchiusi in una recente sentenza del tribunale di Ravenna [1].

Una volta accertata, dal giudice, la paternità dell’uomo, la madre ha il diritto di chiedere, oltre al mantenimento, anche una quota dellespese sostenute per il figlio sin dalla nascita.

Il riconoscimento della paternità: l’analisi del dna

Il riconoscimento della paternità può essere effettuato con le indagini del sangue e del dna. Se l’uomo si rifiuta – senza giustificato motivo – a sottoporsi a tale test, il suo comportamento può essere visto come una tacita ammissione della paternità e, quindi, il giudice già solo per questo può affermare come provato il rapporto di filiazione tra l’uomo e il bambino. La Cassazione [2] ha infatti affermato il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche anche in mancanza di prova dell’esistenza di rapporti sessuali fra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda. Quindi, non basta affermare, in tali casi, che la donna si vedeva contemporaneamente anche con altri uomini per insinuare il dubbio sulla paternità: il solo fatto di aver rifiutato, senza una valida ragione, il test del dna è sufficiente a far ritenere accertata la patenità.

Accertata la paternità, sul padre incombono tutti i diritti e doveri del genitore, primo fra tutti quello di contribuire, insieme alla madre, a decorrere dalla nascita, al mantenimento del minore.

Invece, per il passato – periodo durante il quale l’uomo si è sottratto ai propri obblighi facendo finta di nulla e rifiutando di riconoscere il figlio – al genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio minore in via esclusiva spetta il diritto di ottenere la restituzione una quota delle spese sostenute.

[1] Trib. Ravenna, sent. n. 528 del 30.04.2016.

[2] Cass. sent. n. 13885/2015.


 
 
 

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