Separazione: se i coniugi comprano casa con l’eredità di uno solo
- avvocatocapizzano
- 25 lug 2016
- Tempo di lettura: 4 min
Prima della separazione ho ereditato del denaro che ho versato sul conto corrente cointestato con mia moglie con cui ero in comunione dei beni; denaro con cui abbiamo acquistato una casa. Ora sto per divorziare, ma mia moglie, che ha avuto un figlio dal nuovo compagno, non vuole riconoscermi quei soldi. Posso evitare che della mia eredità possa beneficiare anche il figlio di mia moglie?
Il quesito pone la necessità di esaminare la disciplina della comunione dei beni e specificamente di quale sia la sorte dei beni avuti in eredità.
I beni avuti in eredità fanno parte della comunione?
La legge [1], nell’elencare i beni esclusi dalla comunione (in quanto considerati beni personali del coniuge), annovera i beni acquistati dopo il matrimonio a seguito di donazione o successione; tale esclusione vale, tuttavia, nella misura in cui l’atto di liberalità o il testamento non specifichino che essi “sono attribuiti alla comunione”.
Sempre la stessa norma, inoltre, menziona tra i beni personali, e quindi esclusi dalla comunione, “i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopra elencati (nel caso del lettore, il denaro ereditato) o col loro scambio”; anche qui, tuttavia, la norma aggiunge: “purché ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto”.
Con riferimento poi, e in particolare, ai beni immobili (edifici, case, terreni) o mobili registrati (auto, moto, imbarcazioni) acquistati dopo il matrimonio, la stessa norma precisa che essi sono esclusi dalla comunione quando tale esclusione risulti nell’atto di acquisto, se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.
Dunque, è sempre possibile, attraverso una specifica manifestazione di volontà, far entrare in comunione beni (come quelli avuti in eredità) che, diversamente dovrebbero esserne esclusi in quanto rientranti tra i beni personali di uno dei coniugi.
Il denaro ereditato e versato sul conto cointestato col coniuge entra in comunione?
Ora, con rifermento allo specifico caso illustrato dal lettore, si può senz’altro affermare che il denaro confluito nel conto corrente comune dei coniugi non sia di per sé entrato a far parte della comunione, ma abbia costituito bene personale, poiché rinveniente dalla eredità di cui l’uomo è stato esclusivo beneficiario. Dalla comunione dei beni scaturisce, infatti, l’acquisizione per legge alla comunione stessa di tutti gli acquisti effettuati dai coniugi, fatta eccezione per i beni derivanti da donazione o successione” [2]. E d’altronde può senz’altro escludersi (non essendovene stata fatta menzione nel quesito) che l’atto di liberalità di cui il lettore ha beneficiato abbia inteso destinare quel denaro alla comunione.
Si può escludere dalla comunione la casa acquistata col denaro ereditato?
C’è però da considerare l’ulteriore, ed essenziale circostanza, delreimpiego di quel denaro nell’acquisto dell’immobile e della sua ristrutturazione.
A riguardo, la norma non sembra lasciare spazio ad eccezioni quando stabilisce che, se l’acquisto del bene viene effettuato con il prezzo del trasferimento di beni personali (nel caso di specie: denaro rinveniente dall’eredità), in tal caso, per escludere l’acquisto dalla comunioneoccorre che tale intenzione venga specificata nell’atto di acquisto, quando ad esso partecipi anche l’altro coniuge.
A riguardo, la stessa Cassazione ha affermato che tale disposizione “impone tassativamente – qualora un coniuge intenda procedere all’acquisto di un bene immobile (o mobile registrato) come bene personale e all’acquisto partecipi l’altro coniuge – l’inserimento nell’atto di acquisto di una dichiarazione bilaterale di esclusione dalla comunione, se si vuole evitare l’inserimento in essa fin dall’origine [3].
Potendo, dunque, escludere (in base a quanto emerge dal quesito) che tale dichiarazione vi sia stata , appare del tutto fondato (e probabilmente anche supportato dal consiglio di un legale) il rifiuto della moglie del lettore di restituire al marito l’importo utilizzato per l’acquisto della casa.
Che succede se si dimentica la dichiarazione di esclusione dalla comunione?
In sostanza, nel caso di specie, sarebbe stato necessario dichiarare espressamente, al momento del rogito, che si acquistava un immobile con denaro rientrante tra i beni personali (in quanto rinveniente da eredità e donazione) per escludere detto immobile dalla comunione.
A supporto di quanto testé affermato vi sono pronunce [4] che affermano che “ricadono comunque nella comunione legale i beni acquistati con il ricavato del trasferimento dei beni personali di uno dei coniugi, allorché quest’ultimo abbia omesso, all’atto dell’acquisto, di dichiarare espressamente nei confronti del consorte (e quindi anche dei terzi) la propria volontà che il cespite acquistato resti fuori dalla comunione”. La stessa giurisprudenza ricollega il suddetto effetto (ossia la caduta del bene in comunione anche se acquistato con i proventi della vendita di beni personali) ad ogni ipotesi di mancanza della dichiarazione, anche quando essa non è stata fatta “per distrazione, ignoranza, errore od altro motivo similare.
Situazione quest’ultima difficilmente individuabile allorquando l’acquisto risulti da un atto pubblico e quindi si basi sulla informativa fornita dal notaio in merito alle conseguenze (anche eventuali) della mancata suddetta dichiarazione.
Si può ottenere il rimborso dell’importo avuto in eredità?
Sicché sul piano pratico certamente non varrebbe da parte del lettore la minaccia di un’azione legale tesa a far accertare al giudice che il denaro col quale è stato acquistato l’immobile era rinveniente da una donazione/eredità. Si tratterebbe, infatti, di una circostanza ininfluente atteso che, anche ove provata (ritengo senza particolari difficoltà) il giudice non potrebbe che rilevare che, ciononostante (e pur potendo farlo) i coniugi non hanno inteso darne atto al momento dell’acquisto del bene. Tanto più che il bene stesso risulta anche intestato ad entrambi i conugi e non solo fatto ricadere nella comunione.
Ciò sempre dato per presupposto che il notaio rogante abbia debitamente informato le parti di tale possibilità; ma riesce difficile immaginare il contrario, atteso che si tratta di adempimenti piuttosto “standardizzati” nell’ambito di tali procedure sicché, solo ove fosse dimostrato l’omessa informativa da parte del notaio, si potrebbe agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento del danno.
[1] Art. 179 cod. civ.
[2] Cass. sent. n. 225 dell’11.01.2010.
[3] Cass. sent. n. 9307/96.
[4] Cfr. Trib. Pistoia, 21.10. 1995; Trib. Milano, 21.12 1981.
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