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Quanto costa divorziare

  • Immagine del redattore: avvocatocapizzano
    avvocatocapizzano
  • 10 feb 2017
  • Tempo di lettura: 6 min

Se sei in crisi con tua moglie o tuo marito e l’unico problema che ti frena dall’affrontare la separazione e il divorzio è il costo, sappi che oggi in Italia l’addio al matrimonio può comportare delle onerose conseguenze economiche più per l’uomo, se ha un lavoro, che per la donna, se invece non lo ha. Questo perché, più di tutte le altre voci di spesa, a pesare maggiormente non è tanto il prezzo del procedimento, quanto più che altro il successivo mantenimento. Ecco perché, se ti stai chiedendo quanto costa divorziare, è bene che prima ti confronti con una serie di variabili che possono incidere notevolmente sulla risposta finale. Ma procediamo con ordine e vediamo quanto può costare una separazione e un divorzio nel nostro Paese.

I costi della procedura di separazione e divorzio

Separarsi e divorziare in Comune

Se marito e moglie riescono a trovare un accordo sulle condizioni del divorzio (ma lo stesso vale anche per la precedente separazione) possono rivolgersi al sindaco del Comune di residenza di uno dei due coniugi o a quello ove è stato celebrato il matrimonio, perché provveda a farli divorziare in due soli appuntamenti a distanza, l’uno dall’altro, di almeno 30 giorni. In buona sostanza si deve trattare di una separazione consensuale. Questa procedura è possibile solo se:

  • non vi sono figli minori;

  • non vi sono figli maggiorenni portatori di handicap grave o incapaci;

  • non vi sono figli maggiorenni non economicamente autosufficienti;

  • l’accordo di separazione non contiene patti di trasferimento patrimoniale: in questo concetto sono compresi tutti gli accordi con cui i coniugi regalano, ad esempio, la divisione dei beni mobili e immobili acquistati durante il matrimonio (anche l’arredo della casa). Resta invece escluso l’assegno di mantenimento. Per cui, la coppia può separarsi o divorziare in Comune anche se, tra gli accordi presi, uno dei due coniugi dovrà versare il mantenimento all’altro.

Il costo di un divorzio in Comune è solo di 16 euro, pari ai diritti da versare all’ufficio di stato civile.

Separarsi e divorziare davanti all’avvocato

Con la procedura di negoziazione assistita i coniugi possono divorziare (ma anche separarsi) con l’ausilio di un avvocato ciascuno. Anche in questo caso si tratta di una separazione consensuale, ossia ottenuta con l’accordo di entrambi i coniugi su tutti gli aspetti della separazione. A differenza però del divorzio in Comune, in questo caso non ci sono limiti o condizioni: per cui si può ricorrere alla negoziazione assistita anche in presenza di figli minori o non economicamente autosufficienti, oppure in presenza di accordi di divisione dei beni.

Raggiunto l’accordo di separazione o di divorzio, gli avvocati devono redigere un apposito verbale.

Gli avvocati devono certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico; quindi il verbale viene firmato da tutte le parti e i legali certificano l’autografia delle firme dei clienti.

Gli avvocati devono trasmettere l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita, al procuratore della Repubblica (il Pm) presso il tribunale competente per una verifica dell’accordo.

Quando i coniugi non hanno figli minori o maggiorenni bisognosi di protezione, se il Pm non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti presso l’ufficiale dello stato civile. Quando i coniugi hanno figli minori o maggiorenni bisognosi di protezione (incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti), se il Pm verifica che l’accordo risponde all’interesse dei figli lo autorizza.

Il costo di un divorzio con la negoziazione assistita è sicuramente superiore a quello in Comune. Qui, infatti, le parti devono pagare l’onorario al proprio avvocato, che può variare (secondo delle medie stilate a campione) da 1.500 a 3.000 euro, a seconda della città e delle tariffe praticate dal legale.

In compenso non è dovuto il pagamento di bolli o tasse. Difatti, non bisogna pagare il contributo unificato né per il procedimento di rilascio da parte del Pm del nulla osta o dell’autorizzazione (dato che l’attività di controllo e verifica svolta si ritiene di natura amministrativa) né per la prosecuzione del procedimento davanti al presidente del tribunale [1].

L’Agenzia delle entrate ha inoltre escluso il pagamento dell’imposta di registro, del bollo o di qualsiasi altra tassa se dall’accordo di negoziazione emerge che le disposizioni patrimoniali, contenute in esso sono funzionali e indispensabili per la risoluzione della crisi coniugale [2].

Separarsi e divorziare in tribunale

In tribunale i costi per un divorzio variano a seconda che le parti optino per un divorzio consensuale (quello cioè in cui c’è l’accordo dei coniugi) o un divorzio giudiziale (quello cioè fatto dal giudice al termine di una causa vera e propria). Difatti, è sempre dovuto il contributo unificato che:

  • nel divorzio consensuale è pari a 43 euro;

  • nel divorzio giudiziale è pari a 98 euro.

Il contributo unificato viene anticipato da chi avvia per prima il giudizio oppure, nella procedura consensuale, può essere diviso bonariamente tra i coniugi (sebbene a pagare l’imposta debba essere uno soltanto).

Al contributo unificato si deve poi aggiungere l’onorario degli avvocati che, nel divorzio consensuale, può anche essere uno solo per entrambi i coniugi, con risparmio di costi. La parcella infatti potrà essere sostenuta al 50% da marito e moglie (salvo diversi accordi).

Per quanto riguarda la parcella dell’avvocato nel divorzio consensuale, come per la negoziazione assistita, i costi sono piuttosto variabili da città a città e, in media, partono da 1.000 euro e possono arrivare a 2.500/3.000 euro, sebbene il procedimento sia sempre lo stesso (può variare la difficoltà della redazione dell’atto e il numero di sedute allo studio dell’avvocato per raggiungere l’accordo).

Al contrario, la parcella dell’avvocato nel divorzio giudiziale può essere notevolmente più salata e superare i 5.000 euro, a seconda della difficoltà e della durata della causa. Le parti che non dispongono, però, di condizioni economiche adeguate, possono essere assistiti con il gratuito patrocinio e, in tal caso, non dovranno neanche pagare le tasse (contributo unificato).

Nella procedura giudiziale, chi dei due coniugi perde la causa dovrà anche pagare le spese processuali all’avversario che, di norma, possono variare da 1.500 a oltre 4.000 euro a seconda del valore della causa, dell’importanza della posta in gioco e delle attività svolte nel corso del giudizio.

I costi del divorzio dopo la procedura

Dicevamo che il vero costo del divorzio non è tanto la procedura ma tutto ciò che ne scaturisce. In verità il problema si pone solo per chi, dei due coniugi, ha il reddito più elevato. Questi infatti sarà tenuto a versare:

  • l’assegno divorzile all’ex coniuge (quello che comunemente si chiama «mantenimento»);

  • il mantenimento ai figli qualora ve ne siano, con il 50% delle spese straordinarie (ad esempio gite scolastiche, spese mediche, ecc.).

Questi importi variano a seconda del reddito del coniuge obbligato e di quello beneficiario nonché del tenore di vita che la coppia aveva quando ancora era sposata. Ma vi sono ulteriori parametri di cui il giudice deve tenere conto e che possono aumentare l’importo del mantenimento (ad esempio: moglie casalinga, titolarità di un reddito elevato per il coniuge obbligato, ecc.) o diminuirlo (la breve durata del matrimonio, la giovane età della moglie che sia ancora in grado di lavorare, l’eventuale presenza di altri figli per il coniuge obbligato, la perdita di lavoro o l’arrivo di una malattia per il coniuge obbligato o il sostenimento di ulteriori spese come un affitto in caso di assegnazione della casa all’ex, ecc.).

L’accertamento del diritto all’assegno divorzile presuppone la verifica dell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente, raffrontati a un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione della vita matrimoniale, o quale poteva legittimamente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del matrimonio.

La ricostruzione dei redditi e del patrimonio dell’obbligato viene fatta innanzi tutto sulla base delle dichiarazioni dei redditi; ma, trattandosi di documenti di parte, il giudice può anche non tenerne conto e valutare ulteriori elementi come il tenore di vita goduto durante il matrimonio o autorizzare una consulenza tecnica d’ufficio per la ricostruzione della reale ricchezza del coniuge. In ultima istanza può disporre gli accertamenti della polizia tributaria.

A conti fatti, in presenza di più di un figlio, il mantenimento può arrivare anche a coprire i tre quinti del reddito del coniuge obbligato mentre, se bisogna mantenere solo la moglie si giunge a circa un terzo.

Il pagamento del mantenimento per i figli dura finché questi non sono indipendenti economicamente. Invece il mantenimento della moglie può durare anche a vita, salvo che sopraggiungano ulteriori elementi che portino una modifica nelle condizioni economiche dei due ex coniugi.

[1] Circ. Min. Giust. 29 luglio 2015, nello stesso senso anche Parere Min. Giust. 13 marzo 2015 n. 2309.

[2] Ag. Entrate risoluzione del 16 luglio 2015 n. 65/E.

Fonte: La legge per tutti

 
 
 

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