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Cosa rischio se inizio una convivenza da separata


È certamente lecito andare a convivere con un’altra persona dopo essersi separati da questa (non certo prima), ma la conseguenza è che si perde il diritto all’assegno di mantenimento. La nuova convivenza, infatti, se stabile, instaura una nuova famiglia di fatto che, come tutte le famiglie (benché non basata sul matrimonio), determina l’obbligo reciproco per i partner di assistersi materialmente e moralmente. Risultato: il mantenimento non spetta più all’ex coniuge, ma al nuovo compagno. Le due obbligazioni (quella dell’ex marito e quella del nuovo partner) non possono tra loro sommarsi, diversamente si finirebbe per agevolare la donna che, da un numero elevato di matrimoni o convivenze, ne ricaverebbe di che vivere per una vita. È questo l’orientamento costante della giurisprudenza, riaffermato da una ordinanza della Cassazione solo ieri [1], che appunto chiarisce, ad ogni donna, cosa rischia se inizia una nuova convivenza da separata.

Andare a vivere con un’altra persona, dopo essersi separati, comporta delle rinunce. La prima è all’assegno di mantenimento o a quello divorzile eventualmente percepito dall’ex marito. Ma ad una sola condizione: che la convivenza sia stabile e non occasionale. Non si deve trattare, insomma, di mera ospitalità o di un semplice e passeggero momento, magari volto solo a “testare” la coppia prima di intraprendere scelte più durature. Tra i nuovi compagni si deve instaurare, insomma, quella tipica «comunione materiale e morale» che investe le coppie sposate, determinata da sinergie, corrispondenza di intenti e, insomma, un unico indirizzo alla vita comune. Quali sono gli indizi di questa «stabilità»? La giurisprudenza non lo dice e, di certo, non è solo il tempo. Altri possono essere gli indici come, ad esempio, il trasferimento della residenza, la vendita del precedente immobile o la disdetta dell’affitto da parte di uno dei due conviventi; la partecipazione alle spese di ristrutturazione della casa comune (l’impegno economico denota anche la stabilità della convivenza), così come l’acquisto di un nuovo appartamento, ecc. Tutti sintomi che denotano la volontà di intraprendere – o di aver già intrapreso – un percorso unitario e stabile, tutt’altro che provvisorio.

In questi casi l’ex marito non può, di punto in bianco, smettere di pagare all’ex moglie l’assegno di mantenimento, ma deve prima avviare un procedimento in tribunale di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio. Solo il giudice, infatti, può modificare un proprio procedente provvedimento. Lo dovrà fare, quindi, munito di un avvocato e notificando l’atto processuale alla ex moglie. La quale, a sua volta, avrà diritto a partecipare al giudizio con un proprio difensore. Insomma, se le parti non trovano un accordo (accordo che, anch’esso, andrà portato all’attenzione del giudice), si instaura una vera e propria causa. In tale giudizio l’ex marito deve dare prova del fatto che «la donna abbia intrapreso una nuova convivenza». Tale dato mette in discussione la legittimità dell’assegno divorzile. Ciò perché quando «il coniuge crea una nuova famiglia, anche se “di fatto”, costituita da uno stabile modello di vita in comune – magari con la nascita di figli e il trasferimento del nuovo nucleo in una abitazione messa a disposizione dal convivente» – allora viene meno il suo diritto all’assegno di mantenimento, se riconosciuto in precedenza, in occasione del divorzio e/o della separazione.

[1] Cass. ord. n. 4649/17 del22.02.2017.

Fonte; La legge per tutti


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