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Mantenimento e divorzio: come modificare l’assegno


La sentenza di ieri della Cassazione che ha rivoluzionato i criteri per determinare il “se” e il “quanto” dell’assegno di mantenimento dopo il divorzio (apre le porte a un enorme contenzioso: c’è infatti da attendersi che non pochi mariti si rivolgano, nei prossimi mesi, ai tribunali per chiedere la revisione degli importi a suo tempo calcolati dal giudice. Questo perché, è vero che la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio è possibile solo se sopravvengono nuovi elementi, ma qui è in gioco proprio il criterio di calcolo dell’assegno che, se basato su criteri errati o non correttamente valutati, può ben essere oggetto di revisione. Ma cosa dice, in particolare, la Cassazione sull’assegno di mantenimento e come si potrà ottenere la modifica dei vecchi importi? Cerchiamo di fare sinteticamente il punto della situazione.

L’assegno di divorzio: com’era e come sarà

Inizialmente, nel nostro ordinamento, il matrimonio era considerato un’assicurazione a vita che consentiva, a chi decideva di legarsi a un’altra persona, di essere da questa sostenuta fino all’ultimo dei suoi giorni. Poi, negli anni 70, è arrivata la legge sul divorzio che ha eroso tale principio. Il legislatore, però, piuttosto che lasciare gli ex coniugi completamente a sé stessi dopo il distacco, ha preferito adottare una via di mezzo, prevedendo che anche in caso di divorzio persista il diritto di contare sull’ex coniuge per il proprio sostentamento, qualora non si sia in grado di provvedervi autonomamente. A tal fine si è imposto al coniuge più “benestante” di venire in soccorso dell’ex con un assegno di mantenimento, in modo da garantirgli di conservare «lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio». Lo scopo era quello di mantenere in equilibrio la posizione economica dei due ex coniugi anche in seguito al divorzio.

Ora anche quest’ultimo tassello è venuto meno. La Cassazione, preso atto del mutato atteggiamento sociale nei confronti del mantenimento e della facilità con cui nuovi gruppi familiari – soprattutto “di fatto” – sorgono oggi, ha ritenuto che, nel decidere “se” e quanto” spetti di assegno di mantenimento non si debba più garantire il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. L’aspetto principale che deve valutare il giudice è se il coniuge che chiede l’assegno di mantenimento è (o non è) in grado di mantenersi da solo. E, in caso negativo, a lui non sarà riconosciuto un mantenimento tale da riportarlo alle stesse condizioni economiche che aveva quando era sposato: si tratterà di un sostegno necessario a garantirgli il mantenimento. Si tratta, quindi, degli stessi principi che regolano il mantenimento dei figli, a loro dovuto solo fino a quando non siano in grado di reggersi sulle proprie gambe e che viene meno non appena questi riescono a raggiungere una indipendenza economica o, pur potendola raggiungere, la rifiutano per loro volontà.

Nessun assegno quindi spetterà più a chi sarà in grado di raggiungere l’indipendenza economica con i propri mezzi, anche se la vita condotta con tali mezzi non sia al livello di quella condotta durante il matrimonio.

Poiché peraltro lo scopo del “nuovo” assegno di mantenimento non è più quello di eliminare le disuguaglianze di reddito dei coniugi, ben potrà avvenire che, in una situazione in cui il marito sia benestante e la moglie no, anche con il versamento del predetto mantenimento la situazione non cambi.

Non è corretto, quindi, determinare l’assegno di mantenimento in base al precedente tenore di vita in quanto, altrimenti, varrebbe a dire che il matrimonio, benché dissolto, continui a esercitare i suoi effetti nella vita di due ex coniugi tornati a essere persone singole o addirittura uniti in matrimonio con altre persone.

Viene così affermato il principio dell’autoresponsabilità economica, secondo cui ciascuno, indipendentemente da chi abbia precedentemente sposato e dal tenore di vita goduto durante il matrimonio, deve provvedere a sé stesso autonomamente. E solo se non è in grado di farlo potrà ottenere l’assegno mensile che, comunque, dovrà rimanere nei limiti di quanto necessario a mantenersi, a prescindere dal tenore di vita precedente.

Cosa cambia per chi è già separato o divorziato?

La sentenza, dicevamo in apertura, avrà ripercussioni pesanti sulle separazioni o divorzi, sia quelli ancora in corso che quelli già definiti. Quanto alle separazioni – il cui periodo ora è limitato a massimo un anno (nel caso di separazione giudiziale) o sei mesi (nel caso di separazione consensuale) – i coniugi sapranno che, nel momento in cui andranno a divorziare, le pretese economiche di quello più debole dovranno essere riviste al ribasso. E questo favorirà gli accordi, visto che non sono più in gioco cifre particolarmente elevate o difficilmente sostenibili come in passato. E lo stesso dicasi per le cause di divorzio che ad oggi pendono e sono in attesa di sentenza, sentenza che verrà emessa verosimilmente con i nuovi parametri.

Quanto ai divorzi già emessi, non è da escludere un ricorso al giudice da parte del coniuge tenuto al versamento del mantenimento per la revisione dell’importo, in quanto non più sostenibile o, comunque, perché da rivalutare alla base dei nuovi criteri.

Resta comunque la facoltà del singolo giudice di discostarsi dal nuovo orientamento della Cassazione.

Fonte: La legge per tutti

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